Fuori binario

di Italo Spada

 

Pur essendo il luogo di formazione per eccellenza, la scuola è talvolta teatro di brutti episodi.  Gli atti di teppismo, vandali­smo, violenza e sopraffazione che si registrano nella società penetrano – indesiderati ospiti – anche all’interno del perimetro scolastico; allora la cronaca, che va alla ricerca dell’eccezione, si scatena e il cinema, che ama l’insolito e il contrasto, ne approfitta.

 

S’era già precedentemente accennato all’interesse del cinema americano nei confronti del tema della violenza a scuola. In uno di quei film presi in considerazione per sottolineare l’indisci­plina degli alunni e il coraggio dei docenti (ed esattamente ne Il seme della violenza), appariva anche la figura di Gregory Miller, un alunno di colore che, alla fine, si “convertiva” alla non violenza. L’attore che interpretava quel ruolo era un allora giovanissimo Sidney Poitier e nel 1967, ne La scuola della violen­za (To Sir, with Love) di James Clavell, ideale prosecuzione rovesciata della stessa storia, lo vediamo rivestire  i panni di un professore alle prese con una classe della periferia di Londra, turbolenta quanto quella di New York. Ovviamente, anche qui a spuntarla è il professore che addomestica gli alunni con pazienti e saggi appelli alla  tolleranza.

 

Lo stesso messaggio antirazzista arriva qualche anno dopo dall’in­segnante nero che ne  I sentieri della rabbia (Halls of Anger) (1970) di Paul Bogart riesce a convincere i suoi alunni di colore a convivere civilmente con i bianchi.

 

Diverso il discorso e il messaggio nei due film di Mark L. Lester – Classe 1984  (Class of 1984) del 1981 e Classe 1999 (Class of 1999) del 1990 -, dove la pazienza dei docenti e del preside non basta a domare alunni-belve, drogati, sadici, masochisti, stupra­tori. Convinti di guarire estremi mali con estremi rimedi, il giovane professore di musica (protagonista del primo film), dopo che gli viene violentata la moglie, ammazza uno per uno i suoi allievi; il preside (protagonista del secondo) affida a tre inse­gnanti l’eliminazione fisica degli alunni più indisciplinati della scuola.

 

Ragazzi violenti e risposte a suon di pugni anche nella scuola di Los Angeles di Per vincere domani (The Karate Kid) (1986) di John Avildsen. Obiettivo delle angherie di classe è, qui, un ragazzo che ha il torto di venire da lontano, ma che, malauguratamente per i suoi poco cordiali compagni, ha la fortuna di incontrare un mae­stro giapponese il quale, dopo averlo invitato alla sopportazione, lo avvia alle arti marziali.

 

Maestro di se stesso è, invece, il docente irruente, “punito” con una nomina a preside  nell’istituto più malfamato del distretto, che in Una classe violenta (The principal)  (1987) di Christopher Cain con una buona razione di pugni e sberle riduce a più miti consigli le due bande rivali che spadroneggiano nel suo istituto.

 

Sesso e crudeltà anche nel recente Fuga dalla scuola media (Welco­me to the Dollhouse) (1996) di Todd Solondz; omicidi a catena, invece,   per il giovane protagonista di Schegge di follia (Heat­hers) (1989) di Michael Lehmann, il quale, stanco  di sopportare provocazioni e molestie, servendosi dell’aiuto di una ragazza, elimina uno dopo l’altro i suoi odiosi compagni di liceo.

 

Al contrario di quello americano, il cinema italiano non sembra essere particolarmente interessato al tema della violenza nell’am­biente scolastico. Solo di recente in  Quattro bravi ragazzi (1993), un regista esordiente, Claudio Camarca, si avventura a raccontare le bravate di quattro studenti normali che, distratti e svogliati a scuola, diventano violenti al calar del sole e non trovano di meglio che andare in giro a massacrare di botte gli omosessuali, le donne e le vecchiette che incontrano sulla loro strada.

 

La consuetudine che vuole serenità e distensione all’interno delle aule è poco rispettata quando la scuola “si tinge di giallo”. Allora  è giocoforza mischiare le carte e non dare nulla per scontato, così come fa, per esempio, Roger Vadim in E dopo le uccido (Pretty Maids All in a Row)  (1971), dove racconta la misteriosa morte di una studentessa. Indiziato numero uno, questa volta, è proprio un docente che, agli occhi di un suo alunno, appare del tutto innocente. Alla fine, però, è proprio il ragazzo a doversi ricredere: anche un professore può trasformarsi in assassino.

 

Sospettato, ma del tutto innocente, è, al contrario, il docente di Cosa avete fatto a Solange (1972) di Massimo Dallamano. In una scuola cattolica muoiono tre studentesse e tutte le accuse gravano sul professore di Italiano, che è prestante e bello. L’uomo è estraneo ai fatti, professa la sua innocenza, ma non viene credu­to; allora si trasforma in detective e scopre che le ragazzine di buona famiglia di giorno si inginocchiano in chiesa, ma al calar del sole si abbandonano a pericolosi giochi di sesso e di morte.

 

Per ambientare un giallo a scuola, tuttavia, non è  necessario  ricorrere sempre a violenza e morte. Peter Weir, in  Picnic ad Hanging Rock (Picnic at Hanging Rock) (1975), infatti, per creare suspense ricorre al cinema del disagio e all’ “opera aperta”. Il regista australiano – che, in seguito, ritornerà all’interno dell’ambiente scolastico con L’attimo fuggente – narra in questo film un episodio realmente accaduto agli inizi del 1900: la miste­riosa scomparsa di una istitutrice e di tre allieve durante un picnic. Bandite le brutalità e il sangue, restano, con indubbia forza attrattiva, il mistero e il fascino dell’ignoto.

 

“Fuori binario” scolastico è soprattutto la droga che fa la sua apparizione in film polizieschi americani come  Non entrate in quella scuola (Under Cover) (1987) di John Stockwell, Un poliziot­to alle elementari ( Kindergarten Cop) (1990) di Ivan Reitman e  L’ora della violenza (The substitute) (1996) di Robert Mandel. La caccia agli spacciatori senza coscienza che agiscono all’interno delle scuole è affidata, in questi casi, a poliziotti eroi e superdotati (nel film di Reitman si scomoda, addirittura, Schwar­zenegger) e il finale è scontato già dalle prime sequenze.

 

A denunciare l’intrusione della mafia nella scuola saranno, inve­ce, i registi italiani.

Già nel 1975, Luigi Zampa con Gente di rispetto aveva narrato le vicissitudini di una maestrina di Ragusa che si viene a trovare al centro di lotte tra cosche rivali. Accadrà la stessa cosa al piccolo protagonista de La corsa dell’innocente (1992) di Carlo Carlei, costretto a fuggire dalla scuola (e dall’affetto della maestra) e a vagare da una parte all’altra dell’Aspromonte e dell’Italia per non cadere nelle mani di quanti, dopo aver stermi­nato la sua famiglia, gli danno la caccia per eliminarlo.

Mafia da fotoromanzo, infine, in Volevo i pantaloni (1990),  dove, ispirandosi al romanzo di Lara Cardella, il regista Maurizio Ponzi narra le avventure di una liceale siciliana che, per aver osato sfoggiare la minigonna,  viene punita dai suoi genitori con il ritiro dalla scuola e  l’affidamento ad uno zio senza scrupoli.

 

 

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