Esemplare umano di Maria Pia Latorre e Franco Giacopino, Les Flaneurs, 2014

di Mauro De Pasquale

 

Il titolo del libro, “Esemplare l’umano”, è decisamente inusuale e originale. Presuppone l’idea niente affatto peregrina di un mondo contemporaneo in cui prevale il disumano. Se è vero che il disumano è sempre presente nel cuore dell’umano, oggi questo accade in forme nuove e pervasive. Non si tratta solo di guerre, conflitti ecc., ma di una complessiva caduta di civiltà.
Già Husserl vedeva nel secolo scorso il prevalere della civiltà dei mezzi sulla civiltà dei fini. Ancor è vero oggi, in questo tempo storico tra uno vecchio e uno nuovo, in ci spadroneggiano tecnologia, socia, avvio di intelligenza artificiale.
Non sono un male, sono grandi opportunità, ma l’assenza di limiti e controllo, la confusione tra vero e falso e in più il prevalere di cose e oggetti sull’umano, il disordine geopolitico, in assenza di grandi visioni in cui credere, determinano un potere deviante, occulto, capace di orientare consumi, stili di vita, modi di pensare, di appiattirci sul presente, sul non tempo, sull’individualismo
indifferente.

Ecco allora la funzione anche pedagogica, morale oserei dire, attraverso l’arte, la poesia, di questo libro. Perché il tempo diventa umano quando è narrato e si fa confronto tra soggetti, fratellanza tra sogno e realtà, prossimità e solidarietà.
Si è levato umano / lo sguardo mio che è il tuo”. Così Maria Pia nella poesia di esordio, affiancata e bellamente interpretata da una fotografia di folla che si pensa, si vive come comunità dialogante, come esempio di interrelazione tra individui. E’ il fare incontrare differenti singolarità che costituisce risorsa creativa, definisce l’attesa del futuro come speranza, non come passività, inerzia, indifferenza.
Un preludio, il primo incontro di poesia e fotografia, che può essere considerato come manifesto programmatico dell’intero libro. Perché, dice Maria Pia, “ non riflettersi nello sguardo dell’altro…significa condannarsi alla sterilità, soccombendo al vuoto”.
Un libro, dunque, di interrelazione e dialogo. A volte è l’autrice che si rivolge direttamente, con un tu, ai personaggi, a volte sono i personaggi a interloquire tra di loro. Sempre un filo diretto si snoda tra poeta e personaggi poiché, come si è detto, “lo sguardo mio…è il tuo”. Per questo si ha l’impressione di un feedback circolare e continuo che, al di là di altre ragioni tematiche e stilistiche, cinge e attraversa il tutto con un robusto filo unitario. Per questo i personaggi, a ciascuno dei quali è dedicata una poesia e una foto, ci appaiono assai concreti pur nella finzione della fantasia, ognuno con il proprio vissuto individuale.

Io vivo la poesia come amicizia col mondo”, dice Maria Pia. E il mondo è universo, il mondo è natura, il mondo è anche, nella sua enorme complessità, vita di quelle persone comuni che possiamo incontrare nel nostro quotidiano, persone con cui Latorre si connette – e le connette – in un circuito permanente di com-passione, di “sentire” insieme.
Si tratta di persone che lavorano, per la maggior parte in attività modeste (a volte residuali e “arcaiche” come la iettatrice) che sintetizzano in breve il proprio vissuto, i propri timori e desideri, i propri sogni e riflessioni.
Il poeta d’aerei si gode la gioia di abbracciare il cielo, la commessa cova con gli occhi, e vorrebbe suo, un golfino “écru”, la fioraia parla coi fiori, la netturbina, felice di aver ottenuto il lavoro, sogna di volare con la scopa, come quando era bambina, la separata non crede più “alla perfezione dell’onda”, la lavorante dell’autogrill, senza alcuna prospettiva di carriera, si rammarica di avere “solo la divisa / con niente dentro”, Il malato oncologico tiene fissa l’attenzione sul suo “ago fisso sottopelle”, e il diversamente abile si addormenta “a forma di buco”.
Si tratta di pochi esempi, ma possono essere, credo, sufficienti ad accendere la nostra commossa solidarietà di lettori, umana solidarietà, con tante e diverse umanissime situazioni di esistenza.

Tanto più ci si sente come fossimo parte di una famiglia immaginata, se pensiamo alla caducità delle nostre vite, il destino naturale di tutti gli esseri. Anche gli astri, la cui vita si misura in anni a miliardi, tanto che “l’universo sbeffeggia il tempo”, alla fine implodono. E’ un tema centrale nel libro, la precarietà di essere. Lo sa bene Mariella la fioraia, che “è un papavero / in un bicchiere d’acqua /il suo destino”. Lo sa la netturbina, che “un fiore di carta / tra ciuffi d’erba / canta la vita consunta”. Ed è vero che basta un istante, “un solo dannatissimo istante” a “scivolare nel fiume / afferrare l’oblio”. E nessuno, più di un medico, “ha mai guardato in faccia la Signora”. E si riprende infine una metafora antica, delle foglie che si staccano dall’albero, “Così domani / una foglia s’alzerà in volo”.
Il tema non è certo nuovo, anzi. Ma Latorre non lo vive, e non lo fa vivere ai suoi personaggi, come la tragedia del nulla eterno.
E così Mariella la fioraia “gioca di prestigio col tempo / xilema tra le sue rughe /Una stella che marca il tempo / col coraggio dell’effimero”.
La vita degli individui transita come un fiume che scorre naturale e conduce le sue acque nello sbocco naturale dove le aspetta una nuova qualità dell’essere.
Perché, in forme nuove, “tutto ha eterno ritorno / …l’atomo che è stato mio padre / e che ora è gerbera al sole / il sorriso nella piega dermica / di mia madre / che è pelle di terra viva”.
Perfino “l’insignificanza è un mondo”, afferma Latorre, ed esiste anche “la bellezza dello scarto”, a condizione di saperla e volerla riconoscere e accettare.
Così la lavoratrice delusa e insoddisfatta del suo lavoro, a fine turno “andrà a ballare”. E come l’alpinista osservando lo scempio ambientale aveva detto “ci stiamo estinguendo / come il Rinoceronte bianco / come lo Stambecco dei Pirenei”, come il ragazzo afferma che “senza una nuova rotta / ci sarà lo schianto, così l’ecologista lamenta sì “un pianeta che abbiamo distrutto” e
tuttavia, pur tentato di scappare, decide che è “meglio Essere umano / che scappare”.
Così gli amanti possono volare “sospesi nel tempo”. Così il bambino può dichiarare alla sua amichetta “Da grande lo so che ci sposeremo / nessuno mai ti farà del male / ti coprirò col mio mantello / di Batman / e saremo invisibili”.
Questo è il libro, dunque, dell’empatia con la natura, dell’empatia con il genere umano. Perciò la vita, nella grande varietà di situazioni, non rinuncia alla speranza, se ama praticare l’umano.
Così anche il poeta “canta su un ramo / e sveglia il cielo”.

 

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