Il bambino nascosto

Regia: Roberto Andò

Con: Silvio Orlando, Giuseppe Pirozzi, Lino Musella, Imma Villa, Roberto Herlitzka.

Italia, 2021. Durata: 110’

di Italo Spada

 

Nell’era dell’elettronica non ci sono più bambini che giocano a nascondino. Soprattutto nelle grandi città dove i cortili sono spariti, le piazze sono diventate parcheggi per auto e le strade restano intasate notte e giorno, li trovi solo incollati per ore a un piccolo schermo, isolati dal resto del mondo. Per questo è del tutto comprensibile la meraviglia del taciturno “maestro” di pianoforte Gabriele (Silvio Orlando) quando scopre che un ragazzino si è rintanato dentro casa sua. Logica la sua domanda, ovvia la sua meraviglia:  «Come hai fatto a entrare? Tu sei Ciro, il bambino del piano di sopra!»

Come Ciro sia riuscito a intrufolarsi lo scopriamo subito: ha trovato la porta aperta. Tutto qui. Più sconcertante è venire a conoscenza del perché. Non sta giocando e, probabilmente, non ha mai giocato in vita sua se si esclude il pericoloso gioco dello scippo che gli hanno insegnato in famiglia e che gli ha procurato la fame di vendetta della malavita. Ha sbagliato bersaglio e da creatura-marionetta da utilizzare a piacimento dei boss è diventato un infame che deve pagare caro lo sgarro di avere scippato chi non doveva scippare. Da qui l’urgenza di trovare un nascondiglio e un complice. È stata la sorte a condurlo da un uomo che lo conosce appena, nonostante abiti nello stesso palazzo. «Tu mi devi aiutare», gli dice. Non gli chiede un favore, ma gli impone di osservare una legge rispettata persino nel regno animale: l’adulto è tenuto a soccorrere il bambino. Gabriele ha sempre pensato ai cavoli suoi, ma questa volta, nonostante i pareri dei suoi familiari (il fratello gli rinfaccia la scelta di andare a vivere in un ambiente popolare degradato e di essersi autocondannato al fallimento, il padre magistrato gli consiglia di non immischiarsi) non può tirarsi indietro. Sa bene quali pericoli corre, ma non riesce a tacitare la sua coscienza e accetta quello che non ha mai avuto: un figlio.

A volte capita di vedere un film e di spolverare dal cassetto della memoria un deja vu sempre attuale. Anche dopo 22 anni. Si chiama associazione di immagini e nel cinema è più frequente di quanto si possa pensare.

Era il 1998 quando Fulvio Wetzl narrò la storia di un bambino di 7 anni “nascosto” nel suo incomprensibile linguaggio, vittima della pazzia del padre e recuperato da un’infermiera e da una logopedista con due linguaggi: quello dei colori (cromoterapia) e quello musicale (meloterapia).  Non sarebbe fuori luogo, pertanto, sottotitolare questo bambino nascosto con quel “Prima la musica, poi le parole”.

Dal 1998 ad oggi, da Wetzl a Roberto Andò, dalla campagna toscana a un quartiere popolare di Napoli, da un padre matto a un padre camorrista, dalla logopedista a un insegnante di pianoforte, da Giovanni a Ciro, da una fuga all’altra, da un nascondiglio all’altro.

Altra immagine e altra associazione: quella de “Il bambino nella valigia” di Philipp Kadelbach (Germania, 2015) nascosto nel campo di concentramento di Buchenwald e salvato da un prigioniero e da un maresciallo nel marzo del 1945.

Si dirà di non drammatizzare perché stiamo parlando solo di cinema. E allora facciamo ricorso a notizie di attualità. Nel marzo del 2018, 40 mila disgraziati scappano dalla cittadina di Hamouria. Cercano un rifugio sicuro dove sopravvivere. L’immagine simbolo dell’atrocità della guerra siriana è tutta nella foto di un bimbo siriano nascosto e con la testolina che spunta dalla valigia trasportata dal padre.

Rientriamo in argomento. Presentato fuori concorso a Venezia 2021, questo nuovo film di Roberto Andò, tratto dal suo romanzo omonimo, è solo in apparenza un giallo bene architettato e ben recitato. In realtà è un saggio sulla paternità e sull’infanzia negata, una riflessione sull’incontro-scontro tra adulti e bambini, una pagina di cronaca nera su ciò che può accadere dove regna la camorra, un invito alla solidarietà, una lezione di didattica alternativa.

Forse non erano del tutto inventate le storie dei bambini che nascono sotto i cavoli o che vengono portati dalle cicogne. Gabriele trova Ciro nascosto (cavolo o tavolo, poco importa) e piovuto dal piano superiore (non abitano sui tetti delle nostre case le cicogne?). Non è un padre, ma nemmeno un camorrista può fregiarsi di questo titolo se non ha scrupoli nello scaraventare la sua creatura nella mischia dell’illegalità. E comunque, anche se non si è padri naturali, si può sempre diventare padri “putativi”. Non esiste solo la famiglia riconosciuta all’anagrafe. Gabriele lo ha sperimentato sulla sua pelle e gli sembra giusto e doveroso “allev(i)are” pesi e traumi piovuti come un improvviso ciclone sulle spalle di un innocente. Lo fa rischiando in prima persona, consapevole del codice della delinquenza che non perdona gli “infami” e punisce chi li protegge. La pianticella che decide di curare non è più tenera e flessibile, ha già 10 anni di vita e un passato difficile da cancellare. Raddrizzarla e indirizzarla sulla strada giusta non sarà facile; necessitano pazienza, dolcezza e maestria.

Ciro è un bambino che non ha mai creduto alle favole anche perché nessuno ha avuto il tempo e la gioia di raccontargliele. Possiede, però, una straordinaria sensibilità e per un maestro di pianoforte nessun linguaggio è più appropriato di quello della musica per fare breccia in un cuore malato. Non è una comunicazione complessa. Al contrario: è la più bella lezione che un adulto possa impartire a un agnellino belante, soprattutto se alla musica abbina le carezze.

Come fanno le mamme che sussurrano ninne nanne. Come farà Gabriele.

 

 

 

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