MAURIZIO EVANGELISTA 

ha pubblicato le raccolte poetiche “Suonatore di corno” (La Vallisa, 2010), “La città inventata” (Secop, 2015), “Mr. me” (Arcipelago Itaca, 2022); è stato tradotto in inglese, spagnolo, russo, polacco, serbo-croato e albanese e ha partecipato ad incontri internazionali di poesia in Serbia, Polonia e Albania. Organizza dal 2010 dell’evento “Notte di Poesia al Dolmen della città di Bisceglie”.

 

Stanza 411

(di Maurizio Evangelista)

 

le ginocchia sbucciate come mele

che mia madre tagliuzza per tenermi a tavola

più a lungo.

 

non le resta

che nutrirmi del suo sguardo non più alto del terrazzo

coi gerani che si abbattono sui miei dieci anni

e le biglie che rotolano più lontano da lei.

 

non mi resta che vincerle tutte

e riempire il mio berretto per portargliele in dono.

 

lei preferisce i fiori.

 

e i figli maschi fanno questo per le madri, portano fiori.

 

rose e mimose quando torno da scuola

margherite o fiori di campo.

 

per mia madre mi faccio ladro

e lei mi perdona. perché sono il suo.

 

nessuna biglia nessun fiore

è sull’atlante del mio viaggio.

 

ed è questo che mi porto dell’infanzia

una libertà che non mi sarà mai perdonata.

 *

Room 411

 

knees peeled like apples

that my mother cuts to keep me at the table

longer.

 

she doesn’t stay

than feed on her gaze no higher than the terrace

with the geraniums that fall on my ten years

and the marbles rolling further away from her.

 

I just have to win them all

and fill my cap to bring them to him as a gift.

 

she prefers flowers.

 

and the sons do this for the mothers, they bring flowers.

 

roses and mimosas when I get home from school

daisies or wildflowers.

 

for my mother I become a thief

and she forgives me. because I am hers.

 

no marbles rolling no flower

it is on the atlas of my journey.

 

and this is what I carry with me from my childhood

a freedom that will never be forgiven me.

 

Versi rammemoranti, quasi da camera, intimi e confessionali, strutturati come un lungo flashback. E lungo il viaggio, dopo aver salpato e lasciato alle spalle la zona confortevole degli affetti e delle abitudini (rubare i fiori per un sorriso della mamma è una scarica di emozioni!), cosa rimane ad ancorare il presente? Proprio la presenza di quell’affetto che nel testo è al presente indicativo, conferendo, così, certezza a quella libertà, a quello stile di vita.

(Cosimo Rodia)

 

Mark Strand (1934-2014)

 

Ti scrivo da un posto dove non sei mai stata,

dove i treni non passano, gli aerei

non atterrano, un luogo a occidente,

 

dove spesse siepi di neve circondano ogni casa,

dove il vento ulula al volto vuoto della luna,

dove la gente è semplice, e le mode,

 

quando arrivano, arrivano tardi e sono viste

come forme di oppressione, fonti di scontento.

Questo è un posto che un po’ si accende alle 7 la sera,

 

poi si spegne, e scivola nella camera ardente

delle stelle, e tutti sognano di librarsi

come angeli in vesti fragranti,

 

di venire sollevati dalle varie incombenze

e godere dei piaceri a disposizione di chi li chiede –

giorni come pagine strappate a un album di famiglia,

 

rimpatriate senza fine, il coro celestiale intorno alla grigliata

che si modula al tono dell’occasione,

e tutti che guardano fisso, attoniti d’immenso.

 

Questa poesia celebra qualcosa di gioioso, ma porta con sé la notizia che questa gioia in realtà è già finita. È un memoriale prolungato, un discorso di commiato a ciascun momento della vita terrena. Ma la sua potenza sta nella diversità rispetto a ciò che celebra. Perché non è soltanto vero che ci dispiacciamo del trascorrere del tempo, ma anche che siamo in qualche modo disgiunti dal peso del tempo; e quando leggiamo poesie, durante quei brevi attimi di riflessione, il pensiero della morte appare indolore, perfino bello. Questa idea della poesia legata alla “bellezza” della morte, in un tempo che non è difficile, credo sia magnifica.

(Maurizio Evangelista)

  

 

BARBARA GORTAN

è nata a Livorno nel 1975 e vive a Taranto. Scrive per “Interzona news” ed è presente in molte antologie. Dirige, della casa editrice Mandese Casa del Libro, la collana di poesia “Due mari”.

 

(di Barbara Gortan)

Sarà l’alba, una luce,

uno spiraglio accostato

tra due istanti

allargare l’ampiezza

passare a lungo dal buio

L’aria nera lascia

sui muri delle case

l’alto dei dispersi.

La è luna murata.

Abbi pietà per ogni creatura che

avanza un passo nel deserto, nel

peso nero.

Dal terrazzo, dal soffio urtano

si aprirà un rifugio di calore

Ma noi vediamo da lassù dei tetti

più alti.

 

*

It will be dawn, a light,

a glimmer accosted/

juxtaposed?

between two moments

to enlarge the amplitude/ scope

to pass the dark by/ pass along

the dark

The black air leaves

on the walls of the houses

the breath of the missing.

The moon is walled up

Have pity for every creature that

takes a step into the desert.

In the black weight.

From the mosaic/terrace, from

the breath they collide

A refuge/ shelter of heat

will open

But we see from up there the

highest roofs.

 

Versi oscuri che rappresentano una condizione di dolore (‘il buio’), oltre il quale e dopo il quale si spera ci sia lo spazio di luce (‘sarà l’alba’); e se questo ‘spiraglio’ è proprio luce, si spera che si allarghi per dare ‘calore’ umano.

(Cosimo Rodia)

 

Antonella Anedda (1955)

 

Vedo dal buio

come dal più radioso dei balconi.

Il corpo è la scure: si abbatte sulla luce

scostandola in silenzio

fino al varco più nudo -al nero

di un tempo che compone

nello spazio battuto dai miei piedi

una terra lentissima

promessa

(Da Notti di Pace Occidentale, Donzelli)

 

La poetessa si interroga sui destini del nostro mondo, sulla possibilità di una voce di fronte alle minacce del silenzio. La sua lirica ha un linguaggio essenziale dai suoni calzanti, la scrittura fluttua tra la discorsività prosaica che confluisce elaborando  con ebrezza disegni visionari.

(Barbara Gortan)

 

 

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